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Come ridurre il “rischio stradale” lavorando sulla “componente uomo”.

Gli incidenti stradali rappresentano la principale causa di morte sul lavoro e il 90% di essi è legato al comportamento umano. Distrazione, alterazioni psico-fisiche e dinamiche organizzative inadeguate amplificano il rischio. La prevenzione richiede formazione, tecnologie sicure e politiche aziendali efficaci, per promuovere comportamenti responsabili e affrontare le nuove sfide legate alla guida assistita.



Introduzione

Gli incidenti stradali sul lavoro costituiscono una realtà drammatica, che evidenzia l’urgenza di adottare misure concrete per mitigarne le cause. La guida, che spesso rientra nelle mansioni quotidiane di molti lavoratori, è influenzata non solo da distrazioni o violazioni consapevoli, ma anche da fattori organizzativi che possono compromettere la sicurezza. In un panorama in cui la tecnologia e i dispositivi di assistenza alla guida stanno trasformando il concetto stesso di guida, emerge la necessità di affrontare queste sfide con una strategia integrata, capace di coniugare formazione, innovazione e responsabilità.

Gli incidenti stradali in ambito lavorativo

Gli incidenti stradali rappresentano la prima causa di morte sul lavoro, un dato che evidenzia la gravità del rischio legato alla guida in ambito lavorativo.

È importante sottolineare che, in generale, il 90% degli incidenti è causato o concausato da fattori legati al comportamento umano. Distrazione, fretta, violazioni consapevoli delle norme e alterazioni psico-fisiche sono elementi che incidono significativamente sul rischio, rendendo necessario un approccio mirato alla prevenzione.

Nel contesto lavorativo, il comportamento alla guida può essere influenzato negativamente anche da dinamiche organizzative. Procedure aziendali inadeguate, pressioni sui tempi di consegna o una formazione insufficiente sono fattori che aumentano il rischio, talvolta in modo inconsapevole. Per questo, è fondamentale che le aziende si impegnino non solo nella formazione e nell’addestramento dei dipendenti, ma anche nel migliorare le proprie politiche organizzative per tutelare la sicurezza di chi guida per lavoro.

Ad esempio: anche la “semplice” telefonata “a norma di Codice della Strada” provoca distrazione. Secondo il Codice della Strada (art. 173), “…è consentito l’uso di apparecchi a viva voce o dotati di auricolare purché il conducente abbia adeguate capacità uditive ad entrambe le orecchie (e che non richiedono per il loro funzionamento l’uso delle mani).” L’uso del vivavoce consente di tenere le mani dedicate alla sola guida del veicolo. Tuttavia, anche in questa condizione, il solo fatto di telefonare produce un aumento del rischio per via della distrazione, che sostanzialmente è la stessa sia con il vivavoce che senza (come riporta uno studio dell’Università del Sussex). E la cosa è da tener ben presente.

Questo video aiuta a comprendere ancora meglio questo aspetto. Si tratta di una finta prova di esame di guida, in cui l’istruttore chiede di dimostrare al conducente la propria capacità di usare il telefono durante la guida. E la reazione dei conducenti è molto interessante…

Trovo utile, a questo proposito, segnalare l’importanza delle campagne di comunicazione per la sicurezza stradale, specie quelle realizzate con video che provocano uno shock emotivo ai giovani (e non solo a loro!) per far comprendere loro l’enorme rischio generato dalla distrazione.

Cosa dicono gli psicologi del traffico.

Aggiungo alcune considerazioni fatte con la dott.ssa Daniela Frisone, psicologa (si tratta di una sintesi di un articolo che abbiamo scritto insieme e che trovate qui).

Quando il comportamento dell’uomo è causa o concausa di incidenti, possono verificarsi due situazioni. Nel primo caso si hanno violazioni consapevoli e deliberate di norme di comportamento (distanze di sicurezza, limiti di velocità, rispetto delle precedenze, uso di alcool, ecc.). Nel secondo caso si ha l’errore vero e proprio, derivante dal “fallimento” di azioni pianificate o di sviste, che spesso si verificano a causa di una mancata o scorretta percezione del rischio, tanto individuale quanto, nel “caso aziendale”, di tipo organizzativo.

Cosa ha a che fare la Psicologia con la Sicurezza Stradale? La psicologia aiuta a comprendere i processi “attentivi”, percettivi, sensoriali implicati nella guida. Il nostro sistema percettivo, attraverso i sensi, percepisce gli stimoli dell’ambiente circostante, e questo vale anche nel caso della circolazione stradale (ambiente, peraltro, molto complesso). Ma non tutti gli stimoli uditivi, olfattivi e visivi vengono colti, in quanto il nostro cervello funziona come un filtro che seleziona gli stimoli provenienti dall’ambiente – diversamente vivremmo nel caos – e permette all’individuo di “organizzare” il proprio comportamento. Questa selezione degli stimoli si chiama “attenzione”.

Noi siamo in grado di cogliere più stimoli contemporaneamente: alla guida, ad esempio, vediamo il pedone, il semaforo, il veicolo che precede, ecc. Se però siamo concentrati su qualcosa in particolare (ad esempio per cercare una strada o un numero civico, o per scrivere un messaggio al cellulare), tralasciamo altri stimoli rilevanti. E durante le attività formative si usano spesso, in effetti, strumenti e giochi che pongono all’evidenza i limiti della nostra percezione.

Ma quante cose possiamo fare contemporaneamente? Le ricerche evidenziano come gli stimoli che chiamano in causa il medesimo organo di senso creano tra loro “interferenza”. Se durante la guida si ascolta della musica si impegnano due differenti canali percettivi: l’interferenza tra i due stimoli è minore rispetto, ad esempio, al cambiare il canale della radio mentre si guida. In questa ultima situazione l’organo della vista è infatti doppiamente coinvolto: tra le due azioni si crea interferenza.

Facciamo l’esempio della frenata improvvisa. Molto spesso, alla guida, devono essere prese decisioni repentine, a fronte ad esempio della comparsa di ostacoli improvvisi. In genere si pensa che la frenata sia un‘unica azione, dall’esecuzione pressoché immediata, ma non è così. La ricerca ci aiuta a comprendere che quello che avviene è un susseguirsi di meccanismi percettivi e di successive azioni, per il cui svolgimento occorre un certo tempo. Tra la percezione di un ostacolo e l’esecuzione di un compito (inizio della frenata) c’è il “tempo di reazione”, e corrisponde alla prima fase: la percezione del pericolo. Segue la fase dell’azione, in cui inizia la procedura di arresto: si sposta il piede dall’acceleratore al freno. Nella terza fase si ha infine la frenata vera e propria (dall’azione sul pedale del freno all’arresto dell’auto). Le prime due fasi rappresentano l’”intervallo psicotecnico”, cioè il tempo che precede la frenata vera e propria. Durante tale intervallo, in media di circa 1 secondo, l’auto procede senza variare la propria velocità. A 50 km/h, l’auto percorre circa 14 m durante il tempo di reazione ed altri 14 metri nello spazio di frenatura. A 100 km/h si percorrono invece 28 m durante il tempo di reazione e 70 metri nello spazio di frenatura, quindi quasi 100 metri dalla percezione dell’ostacolo all’arresto completo. La frenata non è dunque un’azione immediata, ma richiede un certo tempo, e la distanza di sicurezza diventa quindi un elemento fondamentale per evitare gli incidenti.

L’effetto sulla guida dovuto all’assunzione di alcool e sostanze stupefacenti

Tempi e distanze di cui si è detto corrispondono a valori medi, considerando guidatori in stato psico-fisico normale e veicoli tenuti in condizioni di efficienza. Ma i tempi di reazione non possono essere uguali per tutti, ed in tutte le situazioni. Ad esempio: quanto incide l’alcool sulla guida e sulla nostra capacità di guida? Un tasso alcolemico pari al limite consentito (0,5 g/l) esercita in realtà già notevoli cambiamenti sulle nostre capacità attentive, percettive e decisionali. Peraltro, l’assunzione di alcool, anche in ridotte quantità, accresce la sensazione di controllo, di sicurezza e di sopravvalutazione del mezzo, riducendo quindi la percezione di limite e pericolo. E’ utile, comunque, consultare la tabella ministeriale per la stima del tasso alcolemico in base alle bevande assunte (pdf).

Ricordo poi a tutti che peraltro, per provare lo stato d’ebbrezza, non è più necessario l’alcoltest, come si evince dalla Corte di Cassazione (IV Sezione Penale, sentenza n.20763/2024 – pdf) Il caso riguarda un uomo che, alla guida della propria vettura, causava un incidente stradale. Gli Agenti intervenuti a seguito del sinistro constatavano l’evidente stato d’ebbrezza del conducente, il quale emanava un acre odore di alcol e non rispondeva alle sollecitazioni ed alle domande rivoltegli dalle Autorità. Successivamente, tale stato d’ebbrezza veniva confermato dal referto dell’Ospedale, il quale indicava la presenza di un tasso alcolemico pari a 3,69 g/l. Il Tribunale di Brescia, nel 2022, condannava il conducente alla pena di 6 mesi di reclusione, € 1.500,00 di ammenda (con pena sospesa) e disponeva la revoca della patente di guida, per il reato di cui all’art.186 comma 2 lettera c) del Codice della Strada. La Corte d’Appello di Brescia confermava la sentenza del Tribunale territoriale, ed il conducente decideva di proporre ricorso per Cassazione, contestando le modalità con cui le Autorità prima (ed il Tribunale e la Corte d’Appello successivamente) avessero dichiarato come sussistente un tasso alcolemico superiore ai limiti di Legge. Secondo la tesi del ricorrente, infatti, lo stato d’ebbrezza era stato desunto, al momento dei fatti, esclusivamente dalle dichiarazioni rese dagli Agenti intervenuti, in assenza pertanto di dati tecnici obiettivi che potessero riscontrare con certezza il livello di alcol effettivamente presente nel sangue in quel preciso momento. La Cassazione ha ritenuto inammissibile il ricorso in quanto infondato e, richiamando vari precedenti giurisprudenziali (si veda, tra la varie: Corte di Cassazione, sentenze n.22239/2015, n.26562/2015, n.25835/2019 e n.35933/2019), ha dichiarato che “in assenza di espletamento di un valido esame alcolimetrico, il Giudice di merito può trarre il proprio convincimento in ordine alla sussistenza dello stato di ebbrezza dalla presenza di adeguati elementi obiettivi e sintomatici […] quali lo stato comatoso e di alterazione manifestato”.

Alcool e droghe: la normativa

La normativa italiana prevede specifiche disposizioni per chi guida veicoli su strada per lavoro in relazione all’assunzione di alcol e droghe. In particolare, per alcune categorie di lavoratori, come autisti di veicoli stradali per i quali è richiesto il possesso della patente di guida categorie C, D, E, e quelli per i quali è richiesto il certificato di abilitazione per la guida di taxi o di veicoli in servizio di noleggio con conducente (NCC), è previsto il divieto assoluto di assunzione di sostanze alcoliche durante il lavoro, comprese le pause e prima dell’inizio del turno. I lavoratori sono inoltre obbligati a sottoporsi a controlli antidroga e alcolici, che possono essere effettuati con cadenza annuale o su richiesta del datore di lavoro in caso di sospetto abuso di alcolici e/o assunzione di stupefacenti. E, in caso di incidente, la polizia stradale deve procedere sempre agli accertamenti preliminari per verificare la presenza di alcol o droghe. Il datore di lavoro deve vigilare sul rispetto del divieto di assunzione di alcol e droghe da parte dei lavoratori e, in caso di inadempienza, può essere ritenuto responsabile sia penalmente che civilmente.

Per chiudere questo argomento, segnalo inoltre questo ottimo opuscolo di INPS relativo agli effetti di alcool, droghe e farmaci sulla sicurezza stradale (pdf).

Quando la distrazione è caudata dai dispositivi di assistenza alla guida (ADAS).

Paradossalmente, anche i dispositivi di assistenza alla guida (ADAS), progettati per aumentare la sicurezza, possono generare distrazione. Oltre agli stimoli esterni come condizioni stradali, traffico e segnaletica, la crescente complessità della strumentazione a bordo dei veicoli contribuisce al fenomeno del sovraccarico cognitivo, obbligando il conducente a elaborare un eccesso di informazioni (specie se conosce “poco” il veicolo che usa). Studi, come quelli condotti dall’Università di Bologna con strumenti come gli eye-tracker, analizzano come l’attenzione del conducente si sposti tra strada, segnaletica e dispositivi di bordo, portando alla luce nuovi aspetti critici.

Un altro fenomeno legato agli ADAS è la compensazione del rischio: le persone tendono ad abbassare la soglia di attenzione quando si affidano a dispositivi avanzati. Uno studio statunitense ha rivelato che chi utilizza sistemi come l’Adaptive Cruise Control (ACC) o il Lane Keeping Assist (LKA) usa più frequentemente lo smartphone alla guida rispetto a chi non dispone di tali strumenti. Analogamente, ricerche del MIT e dell’IIHS mostrano che, con l’aumento della fiducia nei sistemi di assistenza, i conducenti perdono concentrazione e staccano più spesso le mani dal volante.

Nonostante i benefici promessi, queste tecnologie funzionano solo se accompagnate da comportamenti di guida responsabili. Con l’avvento di sistemi a guida altamente automatizzata, sarà necessario investire ulteriormente in formazione e addestramento, in particolare per autisti giovani e inesperti, per affrontare le nuove sfide e garantire che i progressi tecnologici vadano di pari passo con la sicurezza. Per approfondire, segnalo una ricerca del Dutch Safety Board su questi temi.

E poi ci sono i comportamenti aggressivi…

La Fondation VINCI Autoroutes ha pubblicato i risultati del “14° Barometro della guida responsabile“, indagine realizzata da Ipsos coinvolgendo oltre 12.000 persone in 11 Paesi europei (fra cui l’Italia). Tra i tanti dati interessanti, vi mostro questi.

  • Il 67% degli automobilisti europei telefona mentre guida.
  • Il 38% si mette al volante anche quando è molto stanco.
  • Il 31% sta deliberatamente attaccato al veicolo di un conducente che lo irrita.
  • Il 52% ammette di insultare gli altri conducenti.
  • Il 21% si dice pronto a scendere dal veicolo per discutere con un altro conducente.

Abbiamo un problema serio di comportamenti alla guida. Non si tratta solo di superficialità e sottovalutazione dei rischi, ma anche di egocentrismo, aggressività, senso di onnipotenza e mancanza di rispetto per gli altri. E si tratta inevitabilmente di comportamenti che riflettono, in generale, il nostro modo di stare al mondo. Ognuno di noi, su questo, è bene che faccia uno sforzo per migliorarsi.

Conclusioni

La riduzione degli incidenti stradali sul lavoro richiede un approccio globale, che parta dal riconoscimento dell’importanza del comportamento umano e delle influenze organizzative. Formazione mirata, sensibilizzazione e l’uso consapevole delle tecnologie possono fare la differenza, ma solo se accompagnati da un forte impegno aziendale e normativo. La sicurezza stradale non è una responsabilità individuale, ma un obiettivo collettivo, dove ogni azione conta. Innovazione, educazione e rispetto reciproco sono le chiavi per un futuro più sicuro sulle strade.

Invito Datori di lavoro, RSPP ed HSE manager a contattarmi per ogni evenienza!