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Cause, impatti e soluzioni dei problemi generati dal traffico nelle città.

Tutti noi siamo immersi ogni giorno nel traffico stradale delle città. Quali sono le reali cause di questo problema? Come se ne esce? Ecco alcune risposte.


Premessa

Nelle città di tutto il mondo, il traffico rappresenta un problema. Tra i problemi che il traffico urbano può generare ci sono i ritardi, il consumo eccessivo di carburante, l’aumento delle emissioni di gas serra, la riduzione della sicurezza stradale e la congestione delle strade e delle aree di parcheggio.

Nello specifico, l’inefficienza della circolazione porta spesso a un maggiore utilizzo dei veicoli, cosa che alimenta un circolo vizioso di congestione e inquinamento. Gli ingorghi stradali inoltre portano spesso ad un aumento dello stress e della tensione, sia per i conducenti che per i passeggeri, con il rischio di generare comportamenti aggressivi e pericolosi ed aumentando la probabilità di cauare incidenti stradali.

Il traffico e l’inefficienza del trasporto hanno anche un impatto significativo sulle attività commerciali e sulla qualità della vita delle comunità. La difficoltà di accesso alle aree commerciali, i costi del trasporto e la perdita di tempo associata agli ingorghi stradali possono limitare l’attrattività delle aree urbane e dei centri commerciali, danneggiando l’economia locale e la qualità della vita delle persone.

E poi abbiamo gli impatti ambientali: emissioni di gas serra e di sostanze inquinanti (soprattutto ossidi di azoto e particolato fine), con queste ultime che possono portare ad un aumento dei problemi di salute, come l’asma e le malattie cardiovascolari, particolarmente gravi per i gruppi vulnerabili come i bambini e gli anziani.

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Photo by Pixabay on Pexels.com

Il problema di questa città è il traffico!

Occorre considerare che il nostro stile di vita è strettamente legato, fra le altre cose, alle modalità di spostamento a cui facciamo ricorso per effettuare le nostre attività (lavoro, studio, svago, ecc.). Usiamo molto l’auto, magari anche quando non c’è un effettivo bisogno. E spesso, gli aspetti positivi (l’autonomia, in primis), sono superati da aspetti negativi non banali (stress, tempo perso in coda, difficoltà e costi di parcheggio, ecc.), soprattutto in ambito urbano.

Esistono però anche altri effetti negativi, detti “costi esterni”, subiti da quelle persone che usano l’auto poco o per nulla, e che tuttavia risentono dei problemi generati dal sistema di trasporto automobilistico (inquinamento dell’aria e rumore, soprattutto) senza però percepirne i benefici. E quando si attuano delle scelte di mobilità urbana, tali costi devono essere considerati. Ad esempio, occorre considerare l’incidentalità stradale (in Italia ci sono 8 vittime al giorno, con un “costo sociale” annuo enorme), l’inquinamento ed il valore del tempo complessivamente perso a causa della congestione stradale (stimabile su cifre dell’ordine dei miliardi di euro, a livello nazionale). Non potendo “far pagare” a chi si muove con mezzi motorizzati il corrispettivo dei costi esterni da essi generati, si comprende come il riconoscimento di una somma economica a favore di chi usa modi di trasporto privi di emissioni nocive sia una misura che, in qualche modo, riconosce ad essi il beneficio che apportano alla collettività (è il caso ad esempio dei programmi bike-to-work).

Le città devono perseguire un difficile equilibrio, tra l’esigenza di garantire il diritto alla mobilità di ognuno di noi ed il diritto ad avere una qualità della vita soddisfacente e non influenzata negativamente dagli impatti del traffico (specie se non si contribuisce a generarlo). Equilibrio che spesso si scontra con vincoli che appaiono insuperabili, ma dalle cause ben conosciute. Prima di approfondire nel dettaglio alcuni aspetti, guardate il video che ho preparato (anzi, usatelo pure in caso ne abbiate bisogno per fare formazione o in occasione di incontri con i cittadini).

Le alternative all’uso dell’auto

Purtroppo, fare a meno dell’auto spesso è difficile. Il trasporto pubblico e la mobilità ciclabile non sempre hanno dagli amministratori locali l’attenzione che meritano, e non solo per mancanza di risorse ma, molto spesso, di competenze tecniche adeguate. E questo si riflette sulla scarsa offerta di mobilità alternativa all’auto. A differenza di molte realtà europee, la situazione delle città italiane risente di un pesante deficit di trasporto collettivo, soprattutto su ferro. E le misure adottate finora, sia dallo Stato che dalle Regioni, a favore del trasporto collettivo locale e regionale si sono rivelate spesso insufficienti per garantire un servizio adeguato alla domanda, per qualità e quantità.

Molte persone, a parità di tempi di percorrenza, sarebbero anche disposti ad utilizzare i mezzi pubblici, ma questo non avviene, soprattutto a causa di scarso comfort di viaggio, coincidenze non ottimali e collegamenti saltuari e poco frequenti.

La bicicletta potrebbe rappresentare una valida alternativa in città per le brevi distanze, ma non riesce ad affermarsi in molte città italiane soprattutto a causa della scarsa sicurezza sulle strade, mentre in altri Paesi europei come l’Olanda o la Danimarca sappiamo che la situazione è ben diversa (peraltro, investire in infrastrutture per la ciclabilità va anche a vantaggio dei residenti: come riportato in questo articolo su Bikeitalia.it di Gabriele Sangalli, diversi studi dimostrano che il valore degli immobili aumenta in prossimità di piste ciclabili e percorsi pedonali).

Ma non si tratta solo di ragionare su autobus e biciclette. Nelle città in cui la mobilità è problematica, non si può fare a meno di attribuire pesanti responsabilità alla cattiva pianificazione urbanistica, che non ha tenuto sufficientemente conto del legame stretto che sussiste tra territorio e trasporti. È per questo che in tante situazioni non si può fare a meno di usare l’automobile. Si è creato un circolo vizioso generato dallo spostamento delle residenze dei cittadini verso le periferie ed i Comuni della cintura metropolitana (causato anche dall’incremento dei valori immobiliari nelle zone centrali), che non solo ha generato un effetto discriminante per molte persone (che, con un reddito più basso, sono costrette ad allontanarsi dal centro), ma le costringe anche ad usare l’auto per qualsiasi spostamento. Peraltro, spesso, vari nuovi insediamenti residenziali e diversi poli di consumo e di intrattenimento sono stati progettati (erroneamente) per essere raggiungibili quasi esclusivamente con il mezzo privato, senza adeguare il sistema di trasporto collettivo.

Approcci e soluzioni

Per approcciare il problema nel modo giusto occorre vedere come un unico sistema l’insieme di infrastrutture, trasporti, ambiente, città e territorio, attraverso una progettazione integrata e multidisciplinare, avendo come obiettivo la qualità dell’ambiente urbano.

L’urbanistica può svolgere in questo senso un ruolo importante: bisogna privilegiare un modello di città compatta, più efficiente dal punto di vista del tempo e dell’energia risparmiati negli spostamenti e più sostenibile grazie al minor consumo di suolo. Lo sviluppo urbano, nelle aree dove c’è effettiva esigenza, dovrebbe avvenire attorno alle “linee di forza” del trasporto pubblico, favorendo processi di aumento della densità urbana nei nodi ad alta accessibilità. Allo stesso tempo, sono utili gli interventi tesi a ripensare e valorizzare lo spazio pubblico, anche con iniziative che possono essere realizzate a costo ridotto, ad esempio incentivando gli spostamenti a piedi e in bicicletta (soprattutto per raggiungere i servizi pubblici come le scuole) e cercando di accrescere le condizioni di sicurezza in città limitando la velocità dei veicoli, ad esempio secondo il modello della “Città30”.

Le alternative all’attuale modello di mobilità sono note e già largamente diffuse in altri Paesi e riguardano principalmente il potenziamento del trasporto pubblico locale, la diffusione del trasporto condiviso (nelle varie forme oggi presenti), la facilitazione degli spostamenti a piedi e in bicicletta e la riorganizzazione del trasporto merci con l’adozione di progetti di logistica e distribuzione urbana delle merci.

Ma le iniziative vanno studiate con attenzione, per evitare di creare problemi ulteriori. Ad esempio, una strada intrapresa da alcune amministrazioni riguarda l’introduzione di “ticket” sull’uso del motore privato in città o nelle vie più trafficate. Secondo vari esperti del tema, tuttavia, quando si parla di “regolazione economica della mobilità”, “internalizzazione dei costi esterni della mobilità”, “applicazione del principio ‘chi inquina paga’”, ecc., bisognerebbe analizzare distintamente sia l’efficacia (servono a raggiungere lo scopo?) che l’equità (in che modo colpiscono le diverse fasce di reddito?). Tali misure potrebbero infatti essere inique perché si colpiscono i comportamenti a prescindere dal reddito di chi li mette in atto (quindi con un implicito vantaggio per i più ricchi).

Tra le tante iniziative possibili, ne segnalo tre su cui ho avuto modo di lavorare in prima persona.

Tre esempi di iniziative per il miglioramento della mobilità.

  1. Primo esempio: la raccolta e l’analisi dei dati sulla mobilità dei lavoratori, da effettuarsi tramite i Piani Spostamento Casa-Lavoro (o per mezzo di altre indagini) e da analizzare a cura dei Mobility Manager di Area. Questo tipo di attività può portare allo sviluppo di un ulteriore strumento, mai applicato quanto meriterebbe: il Piano dei Tempi e degli Orari, che interviene nella redistribuzione ragionata degli orari delle città (es. ingresso e uscita di uffici e scuole, orari di distribuzione delle merci, ecc.) allo scopo di ridurre la congestione stradale nelle ore di punta. Piano che può essere applicato, naturalmente, solo attraverso la concertazione e il confronto con le diverse parti interessate, in modo da conciliare esigenze e interessi differenti. E ricordando che l’impostazione di un progetto di questo tipo va orientata su due fronti, in quanto non basta lavorare sull’organizzazione dei tempi della città, ma occorre farlo anche sul contesto aziendale, promuovendo delle tecniche di gestione flessibile dell’orario di lavoro e lo smart working. Sottolineo purtoppo come iniziative come quella del Piano dei Tempi e degli Orari, seppure fossero anche dotate di una coerente cornice normativa (Legge 8 marzo 2000, n. 53), non si sono diffuse nella pratica quanto avrebbero potuto e dovuto.
  2. Secondo esempio: il trasporto delle merci pericolose in ambito urbano. Molte città vedono infatti oggi la presenza di importanti (ed impattanti!) poli industriali a ridosso dei centri abitati, con tutte le problematiche che ne derivano. Ed una delle principali esigenze è garantire la sicurezza e la salute non solo delle persone che lavorano in tali siti, ma anche dei residenti che vivono a stretto contatto con queste realtà. E diventa fondamentale in tali casi, da parte delle amministrazioni, dotarsi di un Piano specifico per la gestione dei trasporti delle merci pericolose in ambito urbano, in mancanza del quale si corre il rischio di correre seri rischi legati a situazioni di difficile gestione.
  3. Terzo esempio: l’analisi dell’incidentalità su una rete stradale. Per prevenire gli incidenti e migliorare la sicurezza stradale, è importante raccogliere e analizzare i dati sugli incidenti. Utilizzando tecnologie avanzate di elaborazione dei dati e analisi geospaziale, si possono identificare le aree ad alto rischio e pianificare interventi mirati per prevenire gli incidenti. Inoltre, conoscere i tipi di incidenti che si verificano in una determinata area, come ad esempio gli incidenti causati da distrazione al volante o condizioni meteorologiche avverse, per adottare misure di sicurezza più efficaci.

Lo smart working come misura di mobility management

Novità di ottobre 2024: lo smart working viene promosso da una grande città (Roma, nello specifico), in modo mirato ed esplicito, come misura per decongestionare il traffico. L’iniziativa è pensata per migliorare le criticità legate al traffico nel territorio almeno fino all’avvio del Giubileo (quando si concluderanno tutti i principali cantieri e le manutenzioni delle linee del trasporto pubblico). Sembra una “semplice” iniziativa di buon senso, ma è il cambio di prospettiva ad essere davvero notevole.

Abbiamo iniziato ad usare diffusamente lo smart working come misura anti-Covid. Passata la pandemia, lo continuiamo ad utilizzare come misura organizzativa relativa alla migliore gestione di tempi e luoghi di lavoro. Ma è la prima volta, a mia memoria, che una città italiana si accorda con le Organizzazioni Sindacali e Datoriali per implementare lo smart working come vera e propria misura di mobility management!

Mi complimento con le istituzioni coinvolte (Roma Capitale, Città metropolitana di Roma Capitale e Regione Lazio) e con le Organizzazioni coinvolte, Sindacali (CGIL, CISL e UIL) e Datoriali (Unindustria, Federlazio, Confcommercio, Confesercenti, Confartigianato, LegaCoop, CNA, Confcooperative, AGCI). Ottima iniziativa!

Conclusioni

Per progettare un nuovo sistema di mobilità ed elaborare soluzioni all’altezza dei problemi non si può che iniziare dalla conoscenza e dalla consapevolezza dello stato di fatto, dalla trasparenza delle decisioni e dalla chiarezza degli obiettivi. In questo, è fondamentale lavorare secondo l’approccio definito dai Piani Urbani della Mobilità Sostenibile (PUMS), per avere chiaro il quadro di partenza, visualizzare i problemi nel loro insieme e poter pianificare e stabilire correttamente gli obiettivi da raggiungere.

È opportuno però che tanto i decisori quanto i tecnici siano aperti allo studio di nuove soluzioni e si avvalgano di competenze riconosciute, senza procedere “a tentoni” come troppo spesso fatto finora.