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Il Mobility Manager ed il Piano Spostamenti Casa-Lavoro: dagli obblighi di legge all’efficacia degli interventi.

Caratteristiche del Mobility Manager aziendale, di area e scolastico. La posizione delle aziende. Variazioni sul tema: i mobility manager di distretto. Lo studio della mobilità per distretti produttivi in fase di progettazione. Il tema dello smart working

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Photo by Andrea Piacquadio on Pexels.com

Premessa.

Ricevo spesso richieste di informazioni in tema di adempimenti legati alla figura del Mobility Manager ed alla redazione dei piani spostamento casa-lavoro. Riporto di seguito alcune informazioni utili, e invito gli interessati a contattarmi in caso di necessità di assistenza per la redazione dei Piani.

Il Mobility Manager aziendale.

La figura del Mobility Manager è stata introdotta nel 1998 (normativa poi aggiornata nel 2021), e si applica ad ogni organizzazione (sia essa una azienda o un ente pubblico) con più di 100 dipendenti per luogo di lavoro. Il decreto prevede che le organizzazioni interessate debbano individuare un responsabile della mobilità del personale, definito, per l’appunto, Mobility Manager. Anche se, come detto, tale figura va nominata non solo nelle aziende, ma anche negli enti pubblici, è usuale individuarla in tutti i casi con l’espressione “Mobility Manager aziendale”.

Gli obiettivi del Decreto riguardano la riduzione del traffico veicolare privato in itinere e delle sue nocive conseguenze ambientali: inquinamento atmosferico, consumo di energia ed emissioni di gas serra. Con tali obiettivi, il Mobility Manager aziendale ha l’incarico di ottimizzare gli spostamenti casa-lavoro dei dipendenti, cercando di far ridurre il ricorso all’auto privata a favore di soluzioni di trasporto a basso impatto ambientale (principalmente trasporto pubblico, mobilità ciclabile e car pooling). Le analisi condotte sulle abitudini di mobilità dei dipendenti e le azioni individuate per ottenere gli scopi prefissati costituiscono il Piano spostamenti casa-lavoro (PSCL).

È importante sottolineare che l’inadempienza rispetto alla mancata nomina del Mobility Manager non è sanzionata dalla legge (come pure l’assenza di un Piano Spostamenti Casa-Lavoro), con il frequente risultato di vanificare parzialmente l’utilità di questa figura e l’importanza della questione. Ci torno tra un attimo.

Il Mobility Manager di Area.

Il Mobility Manager di area è la figura di supporto e di coordinamento dei mobility manager aziendali, istituita presso l’Ufficio Tecnico del Traffico dei Comuni più grandi. Il Mobility Manager di area ha il compito di mantenere i collegamenti con le strutture comunali e le aziende di trasporto locale, promuovere le iniziative di mobilità di area, monitorare gli effetti delle misure adottate e coordinare i PSCL delle aziende. Ogni organizzazione sottoposta all’obbligo di nomina del mobility manager aziendale deve comunicarne la nomina all’ufficio del Mobility Manager di area del Comune in cui ha sede.

Nel luglio 2024 il MIT ha emanato gli Indirizzi operativi per le attività dei Mobility Manager d’Area. Lo scopo del documento e fornire indirizzi operativi ai soggetti incaricati di svolgere le funzioni di mobility manager d’area per supportarli nell’attuazione dei compiti loro assegnati dal Decreto del Ministro della transizione ecologica (attuale Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica), di concerto con il Ministro delle infrastrutture e della mobilita sostenibili (attuale Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti) del 12 maggio 2021, n. 179. Il documento è diviso in tre parti: nella prima parte è richiamato il contesto di riferimento e descritti i requisiti dei mobility manager di area, la seconda parte è dedicata agli aspetti relativi alla nomina della figura ed alla sua collocazione organizzativa all’interno dell’Ente di riferimento e la terza parte, infine, descrive nel dettaglio le attività da svolgere.

Sempre su questo tema, segnalo infine un ottimo documento: L’indagine sulla mobilità casa-lavoro condotta dal Comune di Bologna per il 2023 (pdf), relativo alle analisi che sono state condotte a livello di Mobility Manager di Area grazie alle informazioni che le aziende hanno fornito con i PSCL. Dateci un’occhiata: emergono evidenti i benefici che i Comuni possono avere grazie a questo tipo di informazioni.

Il Mobility Manager Scolastico.

Con la legge 221 del 28 dicembre 2015, “Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell’uso eccessivo di risorse naturali“, si prevede che il Ministro dell’istruzione adotti specifiche linee guida per favorire l’istituzione in tutti gli istituti scolastici di ogni ordine e grado, nell’ambito della loro autonomia amministrativa ed organizzativa, della figura del mobility manager scolastico. Il mobility manager scolastico è scelto su base volontaria e senza riduzione del carico didattico, in coerenza con il piano dell’offerta formativa, con l’ordinamento scolastico e tenuto conto dell’organizzazione didattica esistente. Vero è che ultime recenti disposizioni normative hanno modificato questa figura, rendendola in qualche modo più di tipo “consulenziale” che operativo.

Il mobility manager scolastico può inoltre rivestire una importante funzione in termini di responsabilità per la sicurezza di studenti e professori in relazione alla sicurezza delle gite scolastiche (con riferimento alla circolare MIUR sui viaggi di istruzione del 2016), ad esempio scegliendo operatori in possesso delle più importanti certificazioni per la sicurezza del trasporto stradale (ISO 39001) e per la qualità dei servizi di trasporto (UNI EN 13816).

Qui un link utile in materia di mobility manager scolatico.

La posizione delle aziende.

Sono note da tempo le possibili iniziative che possono essere adottate dai mobility manager per favorire un minor uso del mezzo privato negli spostamenti casa-lavoro. Purtroppo, molte di esse sono poco adottate, non solo a causa dei costi ma anche, a mio parere, a causa della scarsa sensibilità e responsabilità dei dirigenti aziendali su questo tema. L’obbligo di legge viene adempiuto con la nomina del Mobility Manager, che ritengo opportuno sia una figura interna all’azienda, e con la redazione del PSCL, per cui invece ci si può far supportare da consulenti esperti della materia. Il resto (collaborazione con il Mobility Manager di Area, monitoraggio periodico delle abitudini di mobilità, revisione delle misure adottate, ecc.) è lasciato alla buona volontà della dirigenza aziendale, ma non è materia sottoposta a controllo o sanzioni. Nella pratica, l’efficacia di un Piano Spostamenti Casa-Lavoro in termini di shift modale (abbandono del mezzo privato a favore del mezzo pubblico o del trasporto condiviso), rischia di essere molto scarsa, ed il successo dell’iniziativa è affidato alla buona volontà degli stessi dipendenti.

È significativo peraltro osservare che, in alcuni casi, le aziende abbiano proceduto alla nomina del Mobility Manager ed alla redazione del PSCL solo a seguito di osservazioni critiche sollevate dagli organismi preposti al rilascio delle certificazioni per i sistemi di gestione ambientale conformi alla norma ISO 14001. Trattandosi di questioni che investono direttamente le “prestazioni ambientali” dell’azienda, le abitudini di mobilità dei dipendenti in itinere sono viste dagli enti certificatori come uno dei punti cardine, e su di esso le aziende devono dimostrare di aver proceduto con interventi concreti di riduzione degli impatti ambientali. La nomina del Mobility Manager e la redazione (ed applicazione) del PSCL diventano quindi questioni che le aziende non possono permettersi di trascurare. Ma questo, come detto, va considerato nell’ambito di una richiesta di rilascio o rinnovo di una certificazione di conformità ISO 14001, iniziative che sono di natura volontaria e rispetto alle quali l’organizzazione non deve quindi adempiere ad alcun obbligo di legge.

Discorso a parte merita lo smart working. In questo caso lo spostamento casa-lavoro viene eliminato del tutto, e si tratterebbe, banalmente, della soluzione più efficace possibile. Anche se non nasce praticamente mai da una “sensibilità” ambientale ma da esigenze organizzative o di altra natura, questa misura è effettivamente di grande efficacia, e vale quindi la pena di tenerla in considerazione anche per le ricadute benefiche che ha in tema di riduzione delle emissioni nocive.

In misura del tutto speculare al caso dei mobility manager aziendali, anche i mobility manager di area possono ottenere dei buoni risultati, purché le amministrazioni comunali vi dedichino volontà, competenza e risorse. Come è ormai chiaro, basterebbe (per quanto non sia per nulla banale) lavorare bene sul trasporto pubblico e sulla facilitazione della mobilità ciclabile per aiutare i mobility manager aziendali ad ottenere buoni risultati. Parliamo, ad esempio, di incentivi comunali per l’acquisto di abbonamenti al servizio di trasporto pubblico locale (da aggiungersi a quelli aziendali) o per l’acquisto di biciclette elettriche. E dopo, solo dopo, provare a ragionare su sistemi più complessi, raffinati ed innovativi di mobilità alternativa all’auto privata.

Variazioni sul tema: i mobility manager di distretto.

Nei mesi scorsi ho partecipato ad un progetto partecipato coordinato dalla Città Metropolitana di Bologna avente lo scopo di stimolare confronti e idee in merito ad un tema che interessa le aziende medio-grandi, in particolare se dislocate nei territori dei piccoli Comuni (in cui è più difficile sviluppare progetti in materia di mobility management). Con vari altri mobility manager, e con la presenza anche degli esperti del Comune di Bologna, abbiamo ragionato sulle possibili iniziative da sperimentare.

L’esigenza fondamentale, per le aziende dislocate al di fuori del territorio del Comune capoluogo (in questo caso Bologna, ma la considerazione vale in generale) è duplice:

  1. avere un referente istituzionale a livello territoriale, con funzioni analoghe a quelle del Mobility Manager di Area (figura spesso debole nei piccoli e medi Comuni);
  2. favorire l’aggregazione tra aziende limitrofe per potenziare le iniziative di mobilità, tipicamente con il mobility manager dell’azienda più grande che assume il ruolo di “mobility manager di prossimità” (funzione spesso definita anche come “mobility manager di distretto”).

La normativa emanata in merito al mobility manager, sia a livello di decreti che di linee guida e chiarimenti del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, costituisce una buona base, ma l’efficacia delle iniziative è sicuramente maggiore se si ha una “sponda” attiva da parte delle istituzioni e se si favoriscono iniziative aggregate. Chi svolge il ruolo di mobility manager lo sa bene. Faccio quindi i miei complimenti tutte le persone che si sono spese in questa iniziativa, e invito chi tra voi è interessato al tema (mobility manager, referenti istituzionali, ecc.) a seguire gli sviluppi di questo progetto, che può essere facilmente replicato in contesti analoghi.

Lo studio della mobilità per distretti produttivi in fase di progettazione.

Sono estremamente lieto di aver potuto poi contribuire anche all’iniziativa SED (Smart Eco-District Laboratory). Il terzo incontro di co-progettazione si è svolto presso la sede di Ca’ Bella, un centro di formazione tecnologica, e ha messo a fuoco temi critici della mobilità sostenibile. Ho avuto il piacere di dialogare con esperti del settore, tra cui Giuseppe Federzoni dell’Agenzia per l’Energia e lo Sviluppo Sostenibile, per discutere vari argomenti, dalla normativa relativa ai piani di spostamento casa-lavoro alle strategie per incentivare una domanda di mobilità sostenibile.

Il progetto SED è un’impresa finanziata dalla Regione Emilia-Romagna e guidata dal Comune di Formigine. Oltre a Zenit Formazione e al suo centro di formazione tecnologica Ca’ Bella, gli altri partner coinvolti nel progetto includono il Clust-ER Innovazione nei Servizi, il BI-REX Competence Center Big Data Innovation & Research Excellence, il TR Lab di Tellure Rota, l’Università degli Studi di Parma con il suo Laboratorio di Ricerca Smart City, e l’Associazione 4Hub. Questa collaborazione multidisciplinare enfatizza l’importanza di una progettazione integrata e olistica per affrontare le sfide della sostenibilità e della mobilità nel contesto urbano.

Il tema dello smart working

Per due anni ho voluto lanciare alcuni minisondaggi su Linkedin, per capire quali sono percezioni e orientamenti di persone ed organizzazioni in merito ad alcuni temi di rilievo. Nello specifico, ho voluto sondare che aria tira in merito allo smart working, rilevando che tanto i lavoratori quanto le imprese sono in maggioranza a favore di una soluzione ibrida, con 2-3 giorni a settimana di presenza in ufficio. E devo dire che la cosa mi trova d’accordo, mi sembra il giusto compromesso tra la necessità di mantenere un contatto stretto con i colleghi e l’opportunità di migliorare il benessere di ciascuno, intervenendo sulla flessibilità dei tempi e dei luoghi di lavoro.

Qui di seguito trovate il confronto tra i numeri del 2022 e quelli del 2021.

Leggendo i numeri si possono fare diverse considerazioni, ecco le mie:

  1. Aspetto trasportistico: mediamente si conferma, dopo la pandemia, l’approccio delle aziende verso una richiesta di presenza “ibrida” per i lavoratori che possono lavorare in smart working. All’incirca, questi lavoratori (che peraltro sono solo una parte minoritaria del totale degli occupati) riducono del 50% i loro spostamenti settimanali, con l’effetto di alleggerire la congestione stradale nelle ore di punta.
  2. Aspetto ambientale: è una diretta conseguenza del punto precedente. Le minori percorrenze effettuate per andare al lavoro in presenza comportano una certa riduzione delle emissioni nocive in atmosfera (CO2, PM10, NOx, ecc.). Non facile da stimare, ma comunque benefica.
  3. Aspetto individuale: anche se aumenta la quota di chi, potendo, lavorerebbe prevalentemente da casa, circa il 70% delle persone sceglierebbe comunque di lavorare in presenza almeno 2 gg a settimana.
  4. Aspetto organizzativo: le aziende che si irrigidiscono sulla richiesta di una presenza assidua (4-5 gg/sett.) “scontentano” potenzialmente il 90% dei loro stessi lavoratori (somma delle percentuali di chi lavorerebbe in presenza al massimo 3 gg/sett), con evidente rischio di perderli a favore di concorrenti più flessibili.
  5. Infine, aspetto socio-economico. Nelle città la minor presenza degli smart workers rispetto al periodo pre-pandemico comporta un calo di introiti per le attività commerciali operanti proprio sull’indotto dato dalla presenza degli stessi lavoratori (e penso in primis alla ristorazione). Questo aspetto viene spesso citato per sostenere la tesi che lo smart working abbia un effetto economico negativo. Da parte mia, osservo però che lo smart working produce – è vero – meno presenze nelle grandi città da parte dei lavoratori dei servizi, ma d’altra parte fa aumentare la presenza di queste persone nei luoghi in cui vivono. E questa maggior presenza può portare un beneficio economico proprio in questi luoghi. Si hanno cioè due variazioni economiche di segno opposto, che si manifestano in luoghi diversi. Difficile dire quale prevalga, sarà anzi interessante studiare con cura il fenomeno.

In ogni caso, il mio invito a tutti è di considerare la complessità di questo fenomeno per studiarne attentamente gli effetti e cercare quindi di governarlo con criterio, senza fare l’errore di cadere in ragionamenti superficiali e conclusioni sbagliate e sbrigative. 

Mobility Manager: sintesi delle leggi

Tralasciando gli atti di legge del 1998 e del 2000, ecco cosa va tenuto presente ad oggi.

Conclusioni

Lo spirito che permeava l’emanazione dei decreti del 1998 e del 2000 era legato ad una giusta preoccupazione, relativa agli impatti ambientali dovuti alla mobilità. La mancanza del quadro sanzionatorio da applicare alle aziende che, pur essendo tenute a farlo, non adottano un Piano Spostamenti Casa-Lavoro, ha però determinato una certa debolezza della cornice normativa, che pare aver avuto l’effetto di comunicare agli operatori economici che, “in fondo, non si tratta di una questione poi così importante”. E anche l’aggiornamento normativo del 2021, che ha avuto come principale novità l’abbassamento della soglia che fa scattare l’adempimento (da 300 a 100 dipendenti per luogo di lavoro), non ha fatto passi avanti in tal senso.

In questo contesto la figura del mobility manager aziendale rischia di continuare ad essere relegata tra le funzioni di minor peso ed influenza all’interno dell’organizzazione. Tuttavia, nel caso delle realtà più complesse (come le aziende multi-sito o multiservizi), appare opportuno rivalutare tale funzione mediante l’attribuzione di nuovi compiti e responsabilità, dotandola di leve gestionali che ne facciano il vero responsabile della mobilità aziendale, ed integrando in essa anche la funzione del fleet-manager (ove presente).

Analogamente, è necessario affiancare il Mobility Manager alle figure responsabili della sicurezza (RSPP) e dei sistemi di gestione (HSE manager), ed inserire le fasi di pianificazione, implementazione, monitoraggio e riesame del PSCL nell’ambito del normale ciclo di gestione aziendale. Le realtà di maggiori dimensioni non possono ormai più fare a meno di analizzare, ottimizzare ed integrare all’interno della gestione aziendale ogni singolo processo operativo, per migliorare la propria competitività ed i propri risultati garantendo al contempo la soddisfazione dei lavoratori e la rispondenza alle norme di legge.

Inserire l’efficienza (e – perché no? – anche la sicurezza) della mobilità in itinere all’interno dei sistemi di gestione aziendali è dunque una questione non più rinviabile.